Una macchia troppo nera in un mare troppo azzurro, sabbia dorata lì dove, invece , è grigia per sua stessa natura. È la foce dell’Agnena eppure non lo è. Quella fotografia scattata da un drone che ha sorvolato il litorale Domiziano sembra falsa ma in realtà è solo troppo saturata perché si vedesse bene il contrasto tra il nero e ilverde-azzurro, tra la melma e l’acqua del fiumiciattolo che accompagna le terre dei Mazzoni dall’Appia fino a valle, segnando il confine tra Mondragone e Castelvolturno. L’immagine di un orrore che altrimenti sarebbe stato solo percepibile con l’olfatto: sul posto, una puzza insopportabile di liquami, e l’acqua che appare un po’ più scura ma non torbida, la sabbia come al solito color del ferro ma un po’ più carico, gli scogli macchiati da qualcosa che sembra inchiostro diluito ma è strame misto a escrementi di bufala.
Dodici ore per capire e depurare dai filtri lo scatto postato da un blogger locale, molto attento all’ambiente e ai guasti del suo territoriale, rilanciato da Legambiente, Wfw e da numerosi attivisti. Poi la verifica in situ, con l’arrivo quando era ormai buio pesto di vigili urbani (dei due comuni rivieraschi), dei carabinieri, della Guardia costiera. E infine i tecnici dell’Arpac, che hanno prelevato campioni di acqua e sabbia. Ma intanto qualcuno, documentando il percorso sui social, aveva risalito il corso del canale Agnena fino a trovare il punto in cui il fiume, che durante il lockdown era diventato pulito e trasparente, iniziava a intorbidarsi: all’altezza di Cancello Arnone, una manciata di chilometri più a monte della foce, cuore del distretto della bufala ma anche snodo fluviale degli scarichi di piccole industrie meccaniche, manifatturiere, agroalimentari.
I tanti veleni sversati nel canale Agnena
Quattro anni fa proprio in quel punto fu scoperto lo sversamento di scarti di produzione di una fabbrica di liquori. In quella stessa zona c’è pure il vecchio impianto di Naturambiente, al centro degli scandali di quindici anni fa sulla produzione di ammendante ricavato dai fanghi dei depuratori. E ci sono un paio di produttori di biogas prodotto da escrementi bufalini.
Per sapere cosa ha macchiato l’acqua di nero e contaminato nuovamente la natura, che in due mesi era riuscita a riappropriarsi dei suoi colori e dei suoi odori, c’è bisogno di aspettare i risultati delle analisi dell’Arpac. Conoscere il responsabile potrebbe essere molto più semplice: basta un drone che costa appena 400 euro, basta la volontà di volerlo fare, dedicando ai controlli un po’ di tempo e di tecnologia, quella che facilita il lavoro degli investigatori e rende inutili i controlli porta a porta, lunghi e per questo, spesso, tardivi. Basta una foto saturata per far scattare l’allarme, ma nel coprensorio della mozzarella, coincidente purtroppo con quello dello smaltimento selvaggio di ogni i tipo di scarto industriale, servirebbe qualcosa di più. E prima.
Il 25 marzo, a fabbriche chiuse e caseifici in sottoproduzione, una macchia simile era stata fotografata venti chilometri più a sud, nei pressi di Lago Patria, all’altezza di Varcaturo. È un’altra zona di allevamento intensivo di bufale, è la stessa delle grandi discariche che furono gestite da Gaetano Vassallo e Cipriano Chianese. E tra l’una e l’altra macchia nera c’è l’immensa cloaca dei Regi Lagni, che neppure il lockdown è riuscito a depurare. Lì finiscono anche i rifiuti industriali smaltiti illegalmente, fanghi e inchiostro, quello dell’accordo documentato dall’inchiesta Bloody Money.
Arrivano nel canale e poi a mare nel cuore della notte, ancora oggi. All’indomani le chiazze scure e untuose, altri allarmi, altre denunce pubbliche. Ma quei produttori di veleni non sono stati ancora fermati. È amaro Marcello Giocondo, proprietario di un lido a Pescopagano, presidente regionale del Sib, il sindacato dei balneari: “Mi chiedo che fine abbiano fatto tutte le denunce fatte negli ultimi vent’anni, come quella dei vermi a mare che arrivavano dal depuratore gestito da Hidrogest. Denunce affogate tra i fascicoli che languono al tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Come imprenditori ci sentiamo sconfitti, come imprenditori e come cittadini. Forse è giunto il momento di rinunciare".