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Napoletani scomparsi in Messico

Napoletani scomparsi in Messico, nuove ricerche dopo la pandemia di coronavirus

Nuove ricerche per i napoletani in Messico “appena la situazione sanitaria migliorerà”. Lo ha annunciato l’avvocato delle famiglie, Claudio Falleti: “Per noi sono dispersi ma vivi”. I tre, Raffaele Russo, 60 anni, Antonio Russo, 25 anni e Vincenzo Cimmino, 29 anni, rispettivamente padre, figlio e nipote. sono scomparsi dal 31 gennaio 2018 nello stato di Jalisco, in Messico.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Le ricerche dei tre napoletani scomparsi in Messico riprenderanno appena l'emergenza sanitaria sarà terminata. Lo ha assicurato l'avvocato Claudio Falleti, legale delle famiglie di Raffaele Russo, Antonio Russo e Vincenzo Cimmino, i tre napoletani scomparsi nel nulla il 31 gennaio del 2018. Dal paese mesoamericano sono infatti arrivate le notizie di nuove attività di ricerca dei tre, concordate durante una videoconferenza tra la Procura dello stato di Jalisco, dove è avvenuta la scomparsa, e la Commissione Federale per le Persone Scomparse.

"Ricerche appena la situazione sanitaria migliorerà"

"Attività di ricerca che prenderanno il via non appena l'emergenza sanitaria lo consentirà", ha spiegato Falleti, che ha chiesto anche un appuntamento alla Farnesina per avviare un dialogo diretto con le autorità messicane. "Un atto dovuto per far sentire la vicinanza dello Stato alla famiglia, in questa triste vicenda", ha spiegato Falleti, "Noi non smetteremo mai di insistere, non smetteremo mai di cercare la verità: per noi sono dispersi ma vivi". L'ultimo aggiornamento lo scorso febbraio, prima della pandemia, quando venne scarcerato il narcotrafficante messicano detto "El Quince", ritenuto il mandante del rapimento dei tre napoletani scomparsi.

Il 31 gennaio 2018 la scomparsa dei tre

La vicenda non è mai stata del tutto chiara: il 31 gennaio 2018, dei tre napoletani Raffaele Russo, 60 anni, Antonio Russo, 25 anni e Vincenzo Cimmino, 29 anni, rispettivamente padre, figlio e nipote, si perdono le tracce. La notizia però in Italia arriva solo due settimane dopo. I tre era scomparsi nel nulla a Tecalitlàn, nello Stato di Jalisco, a cinquanta minuti di auto da Ciudad Guzmàn, e si pensa subito ad un rapimento. A metà febbraio la procura apre un'inchiesta mentre perfino gli ultras del Napoli cercano di mantenere alta l'attenzione mediatica, chiedendo la loro "liberazione" con uno striscione esposto in Curva A durante la partita al San Paolo contro la Spal (19 febbraio 2018). Poi però si inizia a parlare di un loro possibile arresto, quando i familiari decidono di rendere pubblico un messaggio audio inviato da uno dei tre scomparsi proprio nel giorno della scomparsa.

L'ultimo audio: "Ci ha fermato la polizia"

"Stavamo facendo benzina, quando è arrivata la polizia con un'auto e due moto", spiega Antonio, uno dei tre scomparsi, parlando in napoletano con il fratello Daniele, "ci hanno detto di seguirli. Adesso li stiamo seguendo, le moto davanti e l'automobile dietro". Una versione che fa dunque riemergere l'ipotesi del fermo da parte delle forze dell'ordine messicane. Pochi giorni dopo, però, le notizie iniziano a diventare frammentarie: dall'altra parte dell'oceano prima arriva la notizia di trentatré poliziotti messicani indagati, poi la notizia stessa "sparisce" dai radar. Si inizia a parlare di una nuova ipotesi, e cioè che i tre sarebbero stati "venduti" dai poliziotti stessi ai narcos locali per una cifra vicina ai 43 euro. L'allora ministro Alfano promette il "massimo impegno" per la vicenda, mentre i familiari si rivolgono anche al Papa per sapere cosa stia accadendo in Messico.

Le proteste dei familiari e nessuna risposta

Il 30 luglio 2018, a sei mesi dalla scomparsa, una svolta: viene arrestato un narcotrafficante ritenuto essere il mandante del sequestro. Poi tutto si arena. Il 18 ottobre 2018 esplode la rabbia dei parenti, che occupano i binari della stazione di Napoli Centrale, solo la prima di diverse "proteste". Ma dal Messico a Roma la linea è muta. I familiari arrivano perfino ad incatenarsi davanti alla Farnesina, ad un anno dalla scomparsa di prova un'altra carta, la richiesta d'intervento alle Nazioni Unite. Ma niente da fare. Poi la pandemia stende un velo sulla vicenda. Fino ad oggi, a due anni e mezzo di stanza, quando di nuovo i familiari chiedono risposte alle autorità.

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