Cinque anni fa, l'area nord di Napoli faceva i conti con un bagno di sangue. Non per una guerra di camorra, ma per un raptus omicida: Giulio Murolo, infermiere dell'ospedale Cardarelli, dopo una lite per futili motivi con il fratello, scatenò il panico nel quartiere, aprendo il fuoco prima contro i parenti e poi contro passanti e forze dell'ordine. Furono quattro le persone che rimasero uccise sul colpo, una quinta sarebbe morta due mesi dopo in ospedale, diversi i feriti in ospedale. Giulio Murolo, un anno dopo, sarebbe morto a sua volta tre giorni dopo aver tentato il suicidio in carcere, all'ospedale Loreto Mare. Ma già nei primi giorni dopo la sparatoria, oltre ad ammettere le proprie colpe, aveva chiesto scusa a tutti per il raptus omicida.
Era anche in quel caso un venerdì, il 15 maggio del 2015. A Napoli è in corso fin dal giorno prima la visita dell'allora presidente del consiglio Matteo Renzi, la politica locale entra nella fase finale della campagna elettorale per le elezioni Regionali che vedono contrapposti Vincenzo De Luca e Stafano Caldoro, mentre il campionato di Serie A si appresta ad entrare nella terzultima giornata della stagione, con il Napoli di Rafa Benitez impegnato a Fuorigrotta contro il Cesena. Un fine settimana come tanti, insomma, quello che di lì a poco sarebbe finito nelle cronache nere cittadine. La zona è quella del Quadrivio di Secondigliano, a ridosso di Scampia e Miano. L'appartamento dove tutto inizia si trova al civico 41 di via Detta Napoli Capodimonte: Giulio Murolo, 48 anni, infermiere dell'ospedale Cardarelli con la passione delle armi, ha una violenta lite con il fratello per il filo della biancheria. Sono le 15 del pomeriggio circa.
La lite, per futili motivi, degenera in un raptus di follia. Giulio Murolo prende un fucile da caccia, e inizia a sparare. Contro tutti. Uccide il fratello Luigi, la moglie di lui Concetta Uliano. I corpi restano là, sul balcone, in una pozza di sangue. Quello stesso balcone da cui poi si affaccia, iniziando a sparare in strada. Attimi di terrore, e fuggi fuggi generale: la zona è affollata di auto, motorini, passanti. Corrono le forze dell'ordine, ma Giulio Murolo non si ferma: vengono colpiti Luigi Cantone, 56 anni, fioraio in sella al proprio scooter che si trovava in strada, e il tenente della Polizia Municipale Francesco Bruner, che aveva fatto da scudo per una donna e sua figlia: entrambi muoiono sul colpo. Altre cinque persone vengono raggiunte dai proiettili: ci sono i passanti Pasquale Piscino, che conosceva l'omicida (lo definirà dopo la strage "una persona tranquilla, forse preda di un raptus") e Michele Varriale, ma anche tre rappresentanti delle forze dell'ordine, i poliziotti Umberto De Falco e Cristoforo Cozzolino, nonché l'agente della Municipale Vincenzo Cinque. Proprio quest'ultimo è il più grave dei feriti: finisce in coma, dove resterà per due mesi. Il 12 luglio il suo cuore smetterà di battere, e sarà la quinta vittima della strage di Secondigliano.
Giulio Murolo si barrica in casa, e solo dopo una lunga trattativa deporrà le armi e si arrenderà: sono le 21.30, sei ore dopo l'inizio della strage, è al telefono con il 113 ("Sono io quello che ha fatto il macello"), l'operatore lo trattiene a telefono, lo convince ad arrendersi dopo che Giulio Murolo aveva minacciato di far saltare in aria tutto l'appartamento con delle bombole di gas. "Ho fatto una cazzata, mi arrendo", dirà alle forze dell'ordine mentre si lascia arrestare. Si consegna senza maglia, per dimostrare di essere disarmato: mentre viene portato alla macchina, rischia il linciaggio da parte dei passanti. Pochi giorni dopo l'arresto, spiegherà che il fratello Luigi, durante la lite, lo avesse minacciato con un coltello. Viene indagato per strage, ma in carcere resterà appena dieci mesi: il 15 marzo 2016 l'omicida morirà dopo un tentativo di suicidio, avvenuto tre giorni prima in carcere, all'ospedale Loreto Mare. Si chiude così, con la morte del responsabile, la strage di Secondigliano del 15 maggio 2015. Costata in tutto la vita di sei persone, tra vittime e carnefice.